Aveva fatto un sogno antico: era bambina, con le ginocchia sbucciate, la bocca sporca di cioccolato, i codini e gli zoccoletti di legno, a giocare con i suoi amichetti come un maschiaccio.
Evelina, sin da piccola, non badava ai cerimoniali e non seguiva i dettami. Le piaceva giocare sulla nuda terra ma senza scarpe chiuse; lavarsi i piedi era una tortura, poi, ma ne valeva la pena, come subire l'alcool sulle ferite, ma non avrebbe rinunciato ad arrampicarsi sugli ulivi. Ricordava perfettamente le gare a chi riusciva a scalarli, in quel campo di filari e filari di alberi, tutti diversi; non aveva mai vinto, ma non si era mai tirata indietro.
Strana la memoria dei sogni e, ancora più insolito, ritrovarsi a rifletterci, con una tazzina di caffè, la mattina seguente.
Aveva molti amici, maschi, d'allora; rispetto alle donne, gli uomini sapevano essere sinceri, se non ci si metteva di mezzo l'attrazione fisica, e il confronto con una mente maschile era sempre fruttuoso.
Da loro, Eva aveva imparato a riconoscere e rinforzare la sua parte mascolina. Era combattiva, forte, autonoma; quei pregi li aveva sempre annoverati tra quelli virili che, ogni donna, serbava nell'animo.
Ma, quella mattina, era giunta ad un'altra conclusione: ogni creatura riceveva, alla nascita, tutti i pregi e i difetti dell'uno e dell'altro sesso e, con la vita, ne scartava qualcuno e ne avvalorava un altro, per cui ci si scontrava in base alle scelte.
Le donne si sentivano spesso in competizione per riflesso degli uomini con cui avevano a che fare. Tutte amazzoni per amore, per guadagnarselo o per rubarlo, come ancestrali tabernacoli dell'unico sentimento capace di far girare il mondo. Insomma, ogni donna era bella, ma la gara a chi lo fosse di più dipendeva dagli sguardi affascinati degli uomini. Al contrario, l'uomo non si curava della propria bellezza ma puntava su altre doti, caratteriali o materiali.
I pensieri con se stessa erano sempre assurdi ed Eva aveva sorriso della sciocchezza appena proferita. Non si poteva generalizzare, suvvia!
Proprio lei lo sapeva benissimo quanto fossero deleteri i pregiudizi e quanto potessero far male le cattiverie espresse.
La mente passava da un ricordo all'altro, nella solitudine.
Rivedeva i risolini beffardi e risentiva gli spifferi di malelingue durante l'adolescenza; i suoi chili di troppo le avevano arrecato parecchie lacrime notturne, eppure, a un certo punto, aveva reagito, ma senza sbraitare di rimando, con una determinazione silenziosa e ferrea.
Quando le linee del suo corpo erano diventate appetibili, Evelina aveva adottato un sorriso enigmatico stile Monnalisa: un po' compiacimento e molta autostima, perché le sue smagliature sotto i vestiti le avrebbero ricordato sempre che lei ce l'aveva fatta.
Una donna consapevole dei propri difetti ha il fascino dell'unicità.
Evelina non era perfetta, ma si amava proprio in virtù delle mancanze....
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